venerdì 3 marzo 2017

Purity, a novel - not the best ever - by Jonathan Franzen

- Se nel titolo già scrivi che questo romanzo non è uno dei suoi migliori, stai già dicendo quello che pensi del libro. Non dovresti.
- Hai ragione, ma io lo penso e questo blog lo curo io. E' chiaro che mi posso esprimere liberamente.
- Certo. Ma in astratto. Perché se tu hai l'ambizione di essere universale e di arrivare a tutti, non 'toccherai' tutti quanti, perché la tua scelta già ti inimica quelli che ritengono Purity IL capolavoro di Jonathan Franzen. A loro non arrivi.
- Ma l'universalità è una bufala. Se pensi di avere un messaggio 'universale' da dare a tutti, non arriverà a tutti. Magari risulterà indifferente. Pensa ad un autore che ti piace: piace a tutti? E se piace a tutti, non ti sembra sospetto?

Questa conversazione che si svolge nel mio cervello, o nel mio cuore, mentre penso all'ultimo romanzo di Franzen, restituisce pallidamente la cifra del libro stesso, ed è anche l'unica critica formale che muovo all'opera. Non posso dirmi un esegeta di Franzen, ma ho letto tutti i suoi libri (tranne il primo). E per libri intendo anche i saggi etc. Quindi conosco il suo stile, il periodare, le tematiche che ritornano, la cura che ha nel tratteggiare personaggi e plot. 


La critica formale. In Purity sono messi in scena straordinari personaggi: profondi, complessi, intimamente legati gli uni agli altri. Franzen è un maestro nel gestire la trama, nel farli muovere attraverso il tempo e lo spazio, allacciando e slacciando relazioni. In questo è insuperabile. Quando si butta a capofitto - per righe e righe - a descrivere quello che sta accadendo nella testa, o nel cuore, di ciascun personaggio - Andreas Wolf, Tom Aberant, Purity Tyler, Penelope Tyler, Annegret, Collette, etc. - Franzen si Franzenizza. L'impressione è che i personaggi siano troppo scavati, che pensino troppo, che i loro movimenti interiori siano indagati in maniera così puntuale (universi dove emergono profonde contraddizioni e problemi dilanianti e stranianti) da diventare paradossali. L'effetto che Franzen ottiene quando entra nella testa di Wolf e racconta cosa lo ha fatto diventare quello che è, e tutto quello che pensa (sulle persone, sulla Germania dell'Est, su Dio, sulle donne, sul comunismo, sulla sua famiglia, sulla Stasi...) è quello di stordire il lettore. Davvero è così complicato? Davvero gli uomini, le donne, sono così complicate? E quando ti poni la domanda sulla credibilità dei personaggi, è già venuta meno la 'sospensione della credulità' che, invece, ci serve per empatizzare coi personaggi e credere che il loro mondo sia reale quanto il nostro. Anzi, che sia il nostro.

Questo è ciò che mi è accaduto leggendo alcune pagine di Purity. Alla fine, come ho detto a chi me lo ha chiesto (come è il libro?), delle 637 pagine dell'edizione italiana, forse un centinaio si potevano tagliare.

Il titolo, il tema. La protagonista femminile del libro di Jonathan Franzen è Purity 'Pip' Tyler. Il nome le è stato dato dalla madre, Penelope, che non le ha mai rivelato il nome del padre. Pip desidera conoscerlo, ma la madre rifiuta anche solo di parlare dell'argomento. E' questo uno dei 'motori' dell'azione che porterà Purity fino in Bolivia, sulle tracce dell'identità del padre. La purezza in questo caso è quella desiderata dalla madre che con Pip ha voluto ricominciare da zero, cancellando il suo passato: un nuovo inizio, un nuovo Eden. E Purity manifesta nel suo essere una purezza d'animo, pur vivendo in una casa occupata e provando attrazione per un uomo sposato. Andreas Wolf era in cerca di purezza, in fuga da un passato delittuoso e dalla Stasi, da una famiglia opprimente: la ricerca di redenzione passa per lui attraverso la creazione del Sunlight Project, che opera un po' come Wikileaks di Julian Assange. Wolf vuole 'illuminare' e portare alla luce al tempo stesso, ed è considerato un puro, pur non essendolo. Tom Aberant ha invece aperto il Denver Indipendent, un giornale online rigoroso, dove cerca di fare giornalismo utile, sociale, d'inchiesta. Anche lui, considerato uomo incorruttibile e tutto d'un pezzo dovrà fare i conti con un passato che ritorna.

Il tema della purezza aleggia su tutto il romanzo. Nelle vite dei personaggi, nei loro tentativi di fare qualcosa di buono, frustrati dalla natura stessa dell'uomo, alla quale sembra impossibile sottrarsi alla corruzione, al male. Un mondo dove gli adulti non sono guide credibili e sono mossi, in realtà, da istinti bassi, talvolta bassissimi. I giovani - Pip, un ragazzo autistico, un ragazzo disabile - invece sembrano in grado muoversi nella trama del romanzo e sulle strade della vita più responsabilmente, con gli ideali scossi dagli eventi ma ancora intatti. E alla fine, banalmente - ma questo on è mai banale - è l'amore, che si presenta a Pip con sembianze note ma nuove al tempo stesso, a chiudere la storia. Sono gli occhi di Purity ad essere cambiati e a poter cogliere, ora, una nuova possibilità di vita, di speranza, in un mondo di relazioni fallimentari e di ideali traditi.

Happy ending? Ho sempre trovato una chiave di lettura positiva ai romanzi di Jonathan Franzen. Da Forte movimento a Le correzioni a Libertà fino a Purity, la fine della storia si apre alla possibilità di una vita migliore. Non per tutti i personaggi del libro, ma per qualcuno sì. Dopo la morte del marito, per Enid si apre una nuova prospettiva, anche se si trova già in terza età avanzata. E i suoi tre figli, dopo aver attraversato il romanzo e mille peripezie, sono cambiati, forse più consapevoli se non migliori. La vita, insomma, insegna e non scorre invano. In Libertà impossibile non amare il finale straordinario, dove la coppia si ricompone in un crescendo psicologico emozionante e straordinario, dove anche il particolare di un'immagine su un cancello rende giustizia alla storia e ai suoi personaggi. In Purity, Pip tra le braccia di un ragazzo, esitante, appassionato, 'puro' come lei, può sperare, se non altro, di far meglio dei suoi genitori.