giovedì 16 febbraio 2017

Robinson Crusoe by Daniel Defoe: finalmente

Un rapido pensiero. A parte la soddisfazione di aver finalmente letto uno dei libri più citati e (forse) letti di ogni tempo, se non altro uno dei capisaldi della letteratura avventurosa. Ma Robinson Crusoe non è un libro per ragazzi, perché per tematiche e quel soffio di spiritualità che lo attraversa, parla molto anche ai 'grandi'. La storia è arcinota: un giovane, Robinson Crusoe, disobbedendo al padre che vedeva per lui una carriera nella City, si imbarca, all'inseguimento del suo destino, spinto da una irrequietezza che sembra dirgli: più in là.

Le peripezie sono incredibili: viaggia, naufraga, scampa da morte certa, riparte fortunosamente, arriva in Brasile, crea una piantagione, la gestisce, riparte in nave, naufraga sull'isola dove resterà solo per 24 anni, e in compagnia di Venerdì per gli ultimi tre, prima di rientrare - sempre fortunosamente - in patria. Più ricco, più saggio, ma sempre pronto a ripartire. Infatti il libro si chiude con l'annuncio, forse, di un nuovo resoconto di tutto il resto delle sue avventure, capitate nei dieci anni successivi. Nonostante si tratti di un classico, che non avevo ancora letto, e che lo stile - prima persona singolare - e l'ambientazione non siano, ovviamente, tra i miei preferiti, il fatto di aver trascorso il tempo della lettura a rosicchiare le unghie, cosa che di solito non faccio, significa o che avevo fame, o che ero sulle spine.

La narrazione infatti procede spedita di avvenimento in avvenimento e la curiosità di scoprire che accadrà dopo diventa con il passare delle pagine una spinta formidabile. Anche coltivare un campo di riso su un'isola sperduta diventa qualcosa di avventuroso ed interessante quando l'autore - Defoe fa rima con Crusoe - è in grado di portarti lì, ad osservare Robinson che cambia, matura, cresce. Fino quasi a diventare 'credibile', nonostante l'effetto 'grottesco' che si viene a creare quando davvero, in certi punti, le peripezie che gli capitano finiscono per sembrare davvero 'troppe', fin quasi al punto che la 'sospensione della credulità' vien meno.

La scelta di Robinson Crusoe arriva dopo la lettura - rapida, bruciante, appassionata - di "Più lontano ancora", la raccolta di saggi, testi vari, di Jonathan Franzen, nel quale è narrato - nel racconto che da' il titolo alla silloge - del viaggio dell'autore verso un'isola remota, in compagnia di una parte delle ceneri dell'amico David Forster Wallace, e del libro di Defoe: Robinson Crusoe. Un racconto nel quale Franzen conclude, a proposito di se stesso, che il desiderio di fuggire dal 'mondo' gli aveva fatto capire, una volta solo in mezzo alle intemperie su un'isola praticamente disabitata e selvaggia, che il 'mondo' gli mancava e che il 'mondo' era, alla fine, il suo posto. 

Per me, che in questa fase della mia vita, sono solleticato dall'idea di un abbandono del 'mondo', per un ritiro bucolico all'insegna dell'autoproduzione, della permacultura, della bioedilizia, e magari tutto questo in condivisione - comunità - con amici o persone che condividono la mia / nostra visione del mondo, Robinson Crusoe è stato un piacevole divertissement, uno svago. Dove più che le azioni violente con le quali il protagonista riusciva, per esempio, ad uccidere i cannibali che, dopo oltre venti anni di solitudine, si erano recati sulla spiaggia per consumare un banchetto a base di carne umana (ma solo di nemici vinti in battaglia), ciò che assorbiva tutta la mia attenzione erano le descrizioni della costruzione della casa, lo scavo della grotta, la lavorazione del legno per il varo della nave, la pianificazione delle coltivazioni, la creazione di recinti e palizzate, di pascoli per il bestiame. La fase della semina, della mietitura; lo studio delle stagioni e del terreno, dell'andamento delle piogge, per capire quando e come agire per ottenere dal terreno la massima resa. Questo è ciò che, più del resto del libro, mi ha affascinato. Non il mito dell'uomo che, in perfetta o quasi solitudine, riesce a vivere facendo uso del proprio ingenio - come Cyrus Smith & co. nel libro di Jules Verne L'isola misteriosa - ma le modalità per domare la natura e servirsene rispettandola.

Piacevole sorpresa, inoltre, l'approfondimento spirituale: Robinson scopre l'importanza del rapporto con Dio. Per arrivare a comprendere che, tutto ciò che gli è capitato, in una lettura che non può che essere fatta a posteriori, era stato un dono di Dio: ogni evento aveva trovato la giusta collocazione in una storia di Provvidenza celeste. Si coglie bene quando il capitano inglese della nave ammutinata, verso il finale, gli dice che Robinson è un dono di Dio per lui, perché lo ha salvato da morte certa e lo ha aiutato a recuperare la nave; così Crusoe capisce che la sua vita può avere un senso, per gli altri, che lui stesso non era in grado di dare a se stesso. Il protagonista, mentre legge e impara i testi della Bibbia - l'unico libro, tra l'altro non suo, che si era salvato dal naufragio - cambia. Dopo una malattia che, all'inizio del romanzo, già naufragato sull'isola, lo colpisce fino quasi a morire, Robinson - che sembra dal punto di vista religioso un puritano - si rende conto della sua fragilità: ha domato la natura, ha costruito la sua casa, ha addomesticato animali. Ma il fatto di saper provvedere a se stesso compiutamente, non è ragione sufficiente per poter pensare di sopravvivere. Si ha sempre bisogno di un altro. Robinson scopre cioè che le sue abilità sono talenti, che ciò che riesce a fare è un dono, che la sua stessa vita acquista un senso in relazione ad un altro: che sia Dio, che sia il prossimo.